Il 12 dicembre ricorre la Giornata internazionale della copertura sanitaria universale istituita nel 2012 dalle Nazioni Unite con la finalità di sensibilizzare la comunità internazionale a moltiplicare gli sforzi per garantire le prestazioni mediche necessarie a tutti i cittadini del mondo indipendentemente dalla situazione reddituale. Il diritto alla salute quale diritto fondamentale di ogni essere umano ha trovato pieno riconoscimento in diversi trattati internazionali, fra cui la Costituzione dell’Oms, l’articolo 25 della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani e l’articolo 12 del Patto internazionale sui diritti economici, sociali e culturali.
Malgrado il lodevole impegno, almeno formale manifestato a più riprese dalle istituzioni, immaginare una realtà dove prestazioni e servizi sanitari siano assicurati a tutti gli individui appare pura utopia. Secondo l’Oms, metà della popolazione mondiale non ha accesso alle cure di base, un fenomeno preoccupante che non risparmia nemmeno i Paesi con le economie più avanzate. Negli Stati Uniti, stando ai recenti dati pubblicati dal National Center for Health Statistics, circa 30 milioni di cittadini, principalmente a causa dell’eccessiva onerosità delle polizze, sono ancora sprovvisti dell’assicurazione sanitaria. Fra di essi, la percentuale più numerosa è rappresentata da ispanici e afroamericani.
Se volgiamo lo sguardo al nostro Paese abbiamo pochi motivi per sorridere viste le incessanti azioni di depotenziamento che la sanità pubblica subisce ormai da tempo.
Istituito con la legge n. 833 del 1978, il servizio sanitario nazionale ha sostituito l’iniquo sistema mutualistico, che subordinava l’accesso alle cure alla stipula di un contratto d’assicurazione, e ha esteso la copertura medica a tutti dando finalmente piena attuazione all’art. 32 della Costituzione. Da anni, tuttavia, le scelte adottate in materia di finanza pubblica hanno pesantemente penalizzato la sanità nazionale. Un dettagliato rapporto della fondazione Gimbe ha indicato che, nel periodo 2010-2019, sono stati complessivamente sottratti agli ospedali pubblici 37 miliardi di euro fra tagli sistematici e promesse mai mantenute. I responsabili sono i governi che si sono succeduti nel decennio preso in considerazione. La somma che lo Stato italiano devolve alla sanità risulta così fra le più basse di tutta l’area Ocse: nel 2021, il nostro Paese ha speso appena il 7,2% in rapporto al proprio Pil contro l’11% della Germania e il 10% della Francia.
Deficitario anche il bilancio relativo al numero dei posti letto. L’Ocse calcola che in vent’anni (dal 2000 al 2020), in Italia il numero dei posti letto è passato da 268.057 a 188.909 unità, un calo superiore al 30 % e solo in parte giustificato dall’ottimizzazione delle terapie mediche (si pensi al day hospital che ha ridotto il periodo delle degenze). Nel 2021, l’Italia contava 3,2 posti ogni mille persone. Gli altri “Grandi” sono molto lontani: Germania e Francia presentavano, rispettivamente, 7,8 e 5,7 posti letto ogni mille abitanti. Impietosi anche i numeri sulle risorse umane. Nelle strutture del nostro Paese mancano circa 20.000 medici e 65.000 infermieri principalmente per via del tetto imposto alle assunzioni.
E le prospettive future si preannunciano addirittura peggiori delle passate gestioni. I fondi per la sanità della Legge di Bilancio 2023 del governo Meloni sono un evidente passo nella giusta direzione ma appaiono insufficienti e nel 2025 si prevede che la proporzione Spesa/Pil si attesterà al 6,1 %.
Molte cose si possono dire o fare per risolvere questa situazione ma la posizione di Lega Diritti del Malato è molto chiara !
NON SAREMO MAI CON CHI vuole privatizzare anche il Ssn e trasformare l’assistenza medica da diritto a privilegio.
Il Ssn italiano, considerato ancora fra i migliori a livello mondiale, appare dunque sempre più in affanno, orfano di politiche capaci di sostenerlo e vittima sacrificale di logiche mercantilistiche che non dovrebbero avere alcuna correlazione con il diritto alla salute di tutti noi.