I verbali e relativi alle riunioni del Movimento Europeo che ho letto con interesse, come pure ho la lettera di risposta del Presidente del Consiglio prof. Conte mi spingono a fare queste riflessioni.
Tra i tanti interventi e suggerimenti dei partecipanti , quello che, a mio avviso, merita un’attenzione particolare è quello relativo ai paradisi fiscali esistenti ancora in Europa.
E’ evidente che queste agevolazioni sono un retaggio comodo e al solo beneficio di coloro che detengono una grande parte della ricchezza privata.
E’ giusto quindi sollecitare i Governi, la Commissione europea e il Parlamento europeo affinché abbiano il consenso popolare per porre fine a queste distorsioni.
Sono ancora molti gli argomenti che meriterebbero di essere superati per arrivare ad una Unione Europea più coesa e più integrata.
Tra questi un altro argomento , del tutto anomalo, è la eccessiva diversità di tassazione che alcuni Paesi membri applicano all’interno della UE.
Anche questa è una distorsione che dovrà essere corretta. Sarà difficile arrivare ad una percentuale di tassazione unica in Europa ma, attivarsi per una perequazione meno aggressiva, dovrebbe essere un obbiettivo comune.
Questo vale anche per l’IVA che si applica sui prodotti in commercio.
In questi tempi infatti, fa molto discutere il problema dei dazi che gli USA applicano, o minaccino di applicare sui prodotti europei ma, anche una diversa percentuale dell’IVA all’interno della UE si traduce, agli effetti economici commerciali, esattamente come un dazio applicato all’opposto che autoriduce fortemente gli scambi commerciali.
Un livello di tassazione unica armonizzerebbe meglio il mercato specie tra i Paesi UE che hanno adottato l’euro.
Avere adottato l’euro, moneta unica europea, è stato un atto che ha fortemente caratterizzato l’identità della nuova Europa.
Nel contempo, è comprensibile che alcuni Paesi possano avere difficoltà ad un passaggio immediato dalla propria moneta all’euro ma, questa posizione non può durare all’infinito. Dopo un congruo periodo di adeguamento dovrebbero uniformarsi alla moneta unica.
Mantenere la propria moneta, a questi Paesi, resta il vantaggio di svalutare/rivalutare a seconda dell’andamento dei marcati ed eventualmente poter l’asciare l’Unione evitando il delicato problema del ritorno alla propria moneta. Questo comportamento, a mio avviso, non è consono ai Trattati e neppure leale nei confronti dei partner europei.
La libera competitività commerciale è un principio fondante della UE.
Tuttavia, siccome la ricchezza prodotta da un Paese è direttamente proporzionata all’energia consumata ed i costi dell’energia sono diversi tra Pesi UE, il costo finale di un identico prodotto non può che essere diverso.
Per questo alcuni paesi, nel tentativo di essere ugualmente competitivi, mettono in atto politiche sociali insufficienti come. salari inferiori, evasioni fiscali, dipendenti irregolari ecc.
Quindi: costi dell’energia uguale per tutti e compensazione per i Paese che pongono sul mercato UE il loro surplus di energia.
.Per una competitività commerciale libera e armoniosa ci vorrebbero, appunto, regole rigide ed uguali per tutti come ci sono nelle competizioni sportive nazionali e internazionali.
Un’altra nota dolente che da più parti e in più occasioni è stata sollevata è la questione delle lingue di lavoro adottate dalla UE con l’abbandono dell’italiano.
A suo tempo, con il Presidente Prodi, attraverso il Comitato “Movimento Europeo di Ispra”, avevamo sollevato il problema ma senza successo anche perché, non tutti avevano seguito e compreso la gravità della decisione.
Alle nostre rimostranze Prodi seppe solo dire che:
”se noi insistiamo per avere riconosciuto l’italiano anche gli spagnoli vogliono che si inserisca lo spagnolo” La risposta piccata che gli fu data fu:” Presidente, lei dimentica che quando l’Italia, assieme a Francia e Germania, voltavano pagina sull’infausto passato, la Spagna proseguiva felicemente con il franchismo per altri vent’anni. Per cui l’Italia, Paese fondatore ( ruolo ben diverso da coloro che hanno aderito dopo) non può accettare ricatti di quel genere anche se, l’accettazione anche della lingua spagnola, non sarebbe stato un danno per l’Italia”.
Le cose sono andate come le conosciamo ed il danno per gli italiani è notevole in tutti i sensi e settori.
Tra l’altro, proprio la Francia di Macron, sta rivendicando un maggior utilizzo del francese a discapito della lingua inglese.
E’ fuor di dubbio che se l’Inghilterra avesse lasciato la UE prima della scelta delle tre lingue, l’inglese non avrebbe fatto parte delle tre lingue di lavoro. A conferma di questa nuova tendenza, l’Ambasciatore francese alla UE ha lasciato anzitempo una riunione del Fop protestando con i colleghi del COREPER, proprio perché non era concesso di parlare in francese.
L’Italia nella UE ha avuto oltre cinquant’anni di protagonismo propositivo apprezzato e condiviso.
Gli italiani, di tutte le età, per cinquant’anni si sono sentiti fieramente italiani europei.
L’Europa senza la lingua italiana, per molti italiani, è diventata una “Terra straniera” e questo, a mio avviso, ha concorso a creare la diffidenza e la disaffezione che si manifesta sempre più in questi ultimi anni.
Riconquistare la lingua italiana tra le lingue ufficiali della UE sarebbe un ottimo segnale; utile nel campo amministrativo e prezioso per la condivisione europea. A titolo di cronaca vorrei ricordare un particolare e un’occasione persa che, forse, alcuni di noi ancora ricordano. Nei primi anni sessanta, per la nuova Europa, si era pensato di adottare il “ladino” come lingua unica e ufficiale.
Il ladino, infatti, essendo una lingua indoeuropea ossia, quelle lingue che hanno origini comune e che comprendono la maggior parte delle lingue europee, era parsa essere una scelta pratica ed equa. Poi purtroppo si è proseguito con tutte le lingue fino al punto che il sistema non ha più retto e l’Italia ha perso rango e le facilitazioni conseguenti.
Un capitolo a se, riguarda l’allargamento “selvaggio” dell’allargamento ad Est del 2004. La decisione frettolosa di accogliere nella UE il gruppo dei Paesi nordici allo scopo prioritario di impedire la possibile influenza russa su quei Popoli era lungimirante. (vedi Crimea) tuttavia, si è un po’ sorvolato sull’aspetto politico/economico e culturale in relazione all’Unione esistente.
Ora, sarebbe il tempo di fare un consuntivo di quella decisione e valutare se veramente ne è valsa la pena.
Paesi che si pongono in Europa con un “piede dentro e l’altro fuori” turbano enormemente la politica economica e sociale dell’intera Europa.
I Paesi fondatori e tutti gli altri che hanno seguito nei primi anni, hanno condiviso l’intero “pacchetto” compreso il sentimento e l’orgoglio di sentirsi europei in un insieme di popoli “amici”
.Al contrario, da quel che si apprende dagli organi di informazione, alcuni, non manifestano né l’orgoglio di far parte di una grande Europa Libera, solidale e democratica né tanto meno, di simpatizzare con i Popoli della vecchia Europa.
A questa situazione la nuova Europa, nell’interesse di tutti, deve trovare una soluzione.
Il Movimento Europeo, essendo un movimento libero da vincoli politici ed economici, non dovrebbe temere a richiamarsi con forza allo spirito fondante dell’Europa. ed al relativo consolidamento dei Trattati ed al rispetto obbiettivo delle regole amministrative comini.
Concludo:
Il modello ideale al quale dovrebbe tendere l’Europa Unita sarebbe semplicemente quello delle singole nazioni. Ossia: omogeneità economica e fiscale, riconoscimento delle specificità, delle minoranze. Se tutto questo fosse stato implementato , tra i tanti vantaggi avremmo potuto certamente gestire meglio anche questa pandemia.
Purtroppo per il ”clima politico” che corre oggi in Europa questo pensiero può sembrare lontano anni luce ma, se pensiamo al sogno di Icaro tutto può diventare possibile.
Angelo Gemelli