Le mascherine sono divenute obbligatorie da mesi e, anche se l’obbligo di indossarle (dove e quando) è soggetto a variabili che dipendono dall’andamento dell’epidemia, ci abbiamo fatto l’abitudine. Proprio per questo tendiamo a dimenticare che la maggior parte dei modelli che vediamo in giro e utilizziamo proteggono gli altri e meno noi stessi. Ecco perché, per frenare i contagi, è necessario che tutti le indossino (e in modo corretto).
Qui sotto un riepilogo dei principali modelli per punti, con caratteristiche e grado di protezione per ogni tipologia. Ci aiuta un’immagine compilata dalla Federazione Nazionale degli Ordini dei Chimici e dei Fisici (per il Comitato Tecnico Scientifico aggiornata a settembre) da cui si vede come le mascherine che non siano di stretto uso medico proteggono in uscita piuttosto che in entrata
Le macro categorie
Esistono tre macro-categorie di mascherine: dispositivi di protezione individuale (DPI), dispositivi medici (DM) e mascherine «di comunità» (quelle di stoffa). I DPI comprendono le mascherine con le sigle FFP (dove FF sta per Semimaschera Filtrante) riservate ai medici. I DM comprendono le mascherine chirurgiche riservate a malati (o medici). Le mascherine di comunità comprendono quelle usa e getta o lavabili e possono essere comprate o fatte in casa con diversi materiali: possiamo definirle un «presidio igienico».
Mascherine chirurgiche
Tra i DM le più note sono le comuni mascherine chirurgiche, regolate da marchio CE e da una norma, la UNI EN 14683:2019. Sono usate dai medici per proteggere i pazienti quando sono sul tavolo chirurgico e vanno bene per i malati, perché limitano la diffusione nell’ambiente di particelle potenzialmente infettanti bloccando almeno il 95% dei virus in uscita. Sono usate nella maggior parte degli ambienti scolastici e di lavoro, ma non proteggono chi le porta dall’inalazione di particelle aeree di piccole dimensioni («aerosol»): il potere fornito verso chi le indossa soprattutto nei confronti di «droplets» (goccioline pesanti) è del 20%.
Mascherine FFP2 e FFP3
In ordine di potere filtrante abbiamo prima, per efficenza, le mascherine indicate ai medici o a persone a stretto contatto con malati Covid-19: “Semimaschere filtranti FFP2 e FFP3”. Devono avere marchio CE e l’indicazione UNI EN 149, che è la norma per la prestazione tecnica che ne garantisce requisiti e caratteristiche. Le FFP2 e FFP3 hanno una efficienza filtrante del 92% e 98% rispettivamente. Devono essere indossate con precisa procedura che viene insegnata in appositi corsi. In entrata, queste mascherine filtrano anche le particelle più piccole di virus (chiamate «aerosol») che spesso si producono in quantità durante alcune procedure mediche effettuate in ospedale su pazienti con insufficienza respiratoria.
Altre tipologie meno comuni
Un’alternativa alla mascherina chirurgica sono le FFP1, che hanno un’efficacia filtrante del 72% in entrata e uscita. Esistono infine anche maschere in elastomeri o tecnopolimeri dotate di filtro sostituibile P2 o P3 regolamentate dalla UNI EN 140 (semimaschere e quarti di maschera) e UNI EN 143 (filtri antipolvere). L’efficienza filtrante di questi dispositivi è analoga a quelli delle FFP2 e FFP3, con il vantaggio di una migliore tenuta sul viso ma con un maggiore disagio dovuto all’incremento del peso.
Mascherine con valvole
Su ogni tipo di mascherina, specialmente le FFP, possono essere state montate delle valvole. Rendono a chi le indossa più agevole la respirazione, ma fanno filtrare all’esterno il respiro. Non vanno bene per i malati e in genere non proteggono gli altri: in uscita hanno un potere filtrante di solo il 20%.
*** Questi DPI e DM, quando li compriamo, dovrebbero avere impressi i marchi CE e delle norme relative UNI che sono garanzia di requisiti di resistenza a schizzi liquidi, traspirabilità, efficienza di filtrazione batterica, pulizia da microbi.
Mascherine di comunità
Arriviamo alle mascherine di comunità, quelle di stoffa. Il loro potere filtrante è condizionato dal tipo di stoffa e dal numero di strati, ma indicativamente possiamo considerare che siano meno efficaci di una mascherina chirurgica sia in entrata, ma soprattutto in uscita (quindi non vanno bene per i malati).
L’ISS spiega che «devono essere multistrato»e che possono essere «confezionate in proprio». Ha dedicato una FAQ all’argomento sul suo sito.
Tra le risposte:
«Non sono soggette a particolari certificazioni. Non devono essere considerate né dei dispositivi medici, né dispositivi di protezione individuale, ma una misura igienica».
«Devono essere realizzate in materiali multistrato che non devono essere né tossici né allergizzanti né infiammabili e che non rendano difficoltosa la respirazione. Devono aderire al viso coprendo dal mento al naso».
«È possibile lavare le mascherine di comunità se fatte con materiali che resistono al lavaggio a 60 gradi. Le mascherine di comunità commerciali sono monouso o sono lavabili se sulla confezione si riportano indicazioni che possono includere anche il numero di lavaggi consentito senza che questo diminuisca la loro performance».Esiste anche un documento ufficiale di riferimento che stabilisce delle prestazioni “ragionevoli” per l’uso generico che ne viene fatto: le prassi di riferimento UNI/PdR 90 elaborate da UNI in collaborazione con il Politecnico di Torino.
Tutti materiali e l’efficacia
I materiali delle mascherine di comunità, sia commerciali che autoprodotte, sono i più vari. Unici che hanno stilato una classifica di efficienza sono i giornalisti del New York Times che hanno riassunto le prove uscite dai vari laboratori che testano le particelle atmosferiche e che usano le apparecchiature ad alta tecnologia per misurare il potenziale di qualsiasi materiale non convenzionale che il pubblico possa maneggiare. Tra tutti i test fatti, spiccano alcune evidenze generali: molti tessuti fanno un buon lavoro filtrando le particelle virali più grandi (droplets), sono poco efficaci invece per le goccioline più piccole (aerosol). Nella maggior parte dei casi, le fibre naturali hanno prestazioni migliori di quelle sintetiche e due strati sono meglio di uno.
Ecco i risultati nel dettaglio:
Panni tipo «carta asciugatutto»: alcune persone usano panni di carta monouso per fabbricarsi una mascherina o li usano come strato interno in una mascherina di tessuto. Nel test i panni di carta (a due strati) hanno filtrato il 96 percento di droplets e il 33 percento di aerosol.
Tessuto da cucito in cotone: una maschera a due strati di flanella e cotone è stata una delle migliori testate e ha rivaleggiato con l’efficienza di una mascherina chirurgica. In generale, il tessuto di cotone ad alto numero di fili fa un ottimo lavoro.
Jeans e tela: hanno filtrato oltre il 90 per cento di particelle grandi e circa un terzo di particelle piccole.
Magliette: le magliette in cotone sono di gran lunga il più popolare tessuto per mascherine fai-da-te, ma c’è molta variabilità nei materiali. Una maglietta pesante probabilmente farà un lavoro migliore di una leggera. Nel test due strati di maglietta hanno frenato il 77 percento di droplets e il 15 percento di aerosol.
Sciarpe e bandane: anche in questo caso, i materiali sono molto vari. La maggior parte delle bandane di cotone sono realizzate in cotone molto leggero e, anche se ripiegate per quattro volte, non offrono molta protezione. Nei test entrambe hanno funzionato male.