Riassunto.
L’Unione europea ha iniziato a occuparsi di disabilità a partire dalla seconda metà degli anni Settanta, ma solo in maniera marginale, e principalmente mediante strumenti non vincolanti.
Quando, con l’entrata in vigore del Trattato di Amsterdam, l’allora Comunità ha però acquisito il potere di adottare misure volte a combattere le discriminazioni inter alia sulla base della disabilità, le politiche europee hanno assunto maggiore incisività.
La ratifica della ‘Convenzione Onu sui diritti delle persone con disabilità’ ha spinto l’Ue ad includere la tutela e promozione dei diritti delle persone con disabilità tra le sue priorità politiche.
Dopo aver dato sinteticamente conto dell’evoluzione storica delle politiche in materia di disabilità, questo breve contributo si sofferma sulla Convenzione Onu, sui suoi effetti all’interno del diritto dell’Ue alla luce della giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione europea, e sui più recenti sviluppi dell’azione europea a tutela dei diritti delle
persone con disabilità.
Parole chiave. Accessibilità, disabilità, non-discriminazione, Onu, Unione europea.
Abstract.
The origin of the European union disability policy can be traced back to the second
half of the Seventies. However, at that time the European action was limited and primarily
carried out through non-binding instruments. When, with the entry into force of the
Amsterdam Treaty, the former Community has, however, acquired the power to adopt
measures to combat discrimination inter alia on grounds of disability, European policies have
become more effective. The ratification of the ‘UN Convention on the rights of persons with
disabilities’ has prompted the Eu to include the protection and promotion of the rights of
persons with disabilities among its policy priorities.
After giving a succinct account of this historical evolution of Eu disability policies, this brief
contribution focuses on the UN Convention, on its effects within the Eu law in the light of the
Court of Justice of the Eu case law, and on the more recent developments in the European
action to protect the rights of persons with disabilities.
Key words. Accessibility, disability, European union, non-discrimination, UN.
- L’azione europea in materia di disabilità: dagli esordi al Trattato di Lisbona
La Comunità europea (oggi, ovviamente, Unione europea; d’ora in avanti Ue) ha iniziato a occuparsi di disabilità a partire dalla seconda metà degli anni Settanta. In un primo momento, peraltro, l’azione comunitaria si presentava come marginale e aveva luogo principalmente
mediante strumenti non vincolanti o finalizzati allo scambio di informazioni tra Stati membri 1 . I diritti delle persone con disabilità erano infatti estranei al contesto normativo europeo e i trattati allora vigenti non contenevano alcuna menzione della disabilità.
La prima risoluzione del Consiglio che raccomandava l’elaborazione di un Programma di azione per l’integrazione occupazionale e sociale delle persone portatrici di handicap 2 risale al 1974.
Sulla scorta di tale prima risoluzione, e fino agli inizi degli anni ’90, furono sviluppati quattro programmi di azione principalmente volti a supportare gli Stati membri nel facilitare l’inserimento lavorativo e la formazione professionale delle persone con disabilità.
Il 1996, con l’approvazione della Strategia della Comunità europea nei confronti dei disabili 3 , segna la prima vera svolta nell’azione europea.
Tale Strategia, pur essendo un documento non vincolante, rappresenta il primo riconoscimento della disabilità come ambito della policy europea e la prima vera affermazione della necessità di tutelare i diritti delle persone con disabilità tramite una serie
di azioni integrate e coordinate tra loro. La Strategia in questione si proponeva “un più forte impegno a identificare e rimuovere i vari ostacoli che si frappongono alla parità di opportunità e alla piena partecipazione a tutti gli aspetti della vita” 4 , e si connotava per un cambiamento di prospettiva ispirato dalle Norme standard per le pari opportunità delle
persone con disabilità 5 (approvate dalle Nazioni unite nel 1993) e dall’affermarsi del cosiddetto “modello sociale della disabilità” 6 , che concepisce la disabilità come conseguenza di fattori sociali e non come conseguenza della menomazione del singolo.
Con l’entrata in vigore del Trattato di Amsterdam, nel 1999, l’allora Comunità acquisisce il potere di adottare misure volte a combattere le discriminazioni inter alia sulla base della disabilità (articolo 13 TCE, ora articolo 19 TFUE). Inoltre, a margine del trattato viene
approvata una dichiarazione allegata all’articolo 95 TCE (oggi articolo 114 TFUE), secondo la quale nell’elaborazione di misure per l’armonizzazione del mercato interno si deve tener conto “delle esigenze delle persone con disabilità”. Sebbene non vincolante, questa dichiarazione ha contribuito allo sviluppo di misure a tutela dei diritti dei disabili. Infatti,
negli anni successivi al 2000, numerosi atti legislativi, in materia di telecomunicazioni 7 , trasporti 8 , ascensori 9 , appalti pubblici 10 , fondi strutturali 11 , hanno incluso disposizioni in materia di disabilità, spesso volte a garantire l’accessibilità di determinati prodotti e servizi.
Ad oggi, l’atto legislativo più importante rimane però la Direttiva 2000/78/CE del Consiglio, che stabilisce un quadro generale per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di impiego, che costituisce il primo vero intervento legislativo volto a garantire il
diritto al lavoro delle persone con disabilità. Oltre a vietare la discriminazione (tanto diretta quanto indiretta) e le molestie in ragione della disabilità, della religione o convinzione personale professata, dell’età o dell’orientamento sessuale, la Direttiva impone ai datori di lavoro l’adozione di accomodamenti ragionevoli. In particolare, la disposizione di cui all’art.5 afferma che il datore di lavoro deve adottare “provvedimenti appropriati, in funzione delle
esigenze delle situazioni concrete, per consentire ai disabili di accedere ad un lavoro, di svolgerlo o di avere una promozione o perché possano ricevere una formazione, a meno che
tali provvedimenti richiedano da parte del datore di lavoro un onere finanziario
sproporzionato”. La norma chiarisce anche che l’onere non potrà considerarsi sproporzionato
se e nella misura in cui sia “compensato in modo sufficiente da misure esistenti nel quadro
della politica dello Stato membro”.
Nel 2000, il Consiglio europeo di Nizza approva la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione
europea, che include due disposizioni specificamente attinenti alla disabilità. L’articolo 21
afferma il principio di non discriminazione, mentre l’articolo 26 stabilisce che l’Ue
“riconosce e rispetta il diritto delle persone con disabilità di beneficiare di misure intese a
garantirne l’autonomia, l’inserimento sociale e professionale e la partecipazione alla vita
della comunità”.
A livello di policy, al termine del 2003, proclamato Anno europeo delle persone con
disabilità 12 , veniva approvato il nuovo Piano di azione europeo sulla disabilità (2004-2010) 13 ,
che si proponeva di completare l’attuazione della direttiva sulla parità di trattamento in tema
di occupazione, di rafforzare l’integrazione delle questioni legate alla disabilità in diversi
ambiti delle politiche comunitarie (mainstreaming) e di migliorare l’accessibilità 14 .
Nel 2009, l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona ha determinato un rafforzamento delle
competenze dell’Ue in materia di disabilità, anche se solo indirettamente. Pur lasciando
invariato il testo dell’articolo 19 TFUE (già articolo 13 TCE) nella parte in cui sancisce la
competenza dell’Unione a “combattere le discriminazioni fondate sul sesso, la razza o
l’origine etnica, la religione o le convinzioni personali, la disabilità, l’età o l’orientamento
sessuale”, modifica la parte attinente la procedura legislativa necessaria ad adottare tali
misure. Ad essere cambiato è il ruolo del Parlamento europeo. Nel testo previgente il
Consiglio decideva previa mera consultazione del Parlamento, mentre il Trattato di Lisbona
prevede l’uso della procedura legislativa ordinaria, secondo la quale il Consiglio necessita
della previa approvazione del Parlamento. Il Trattato di Lisbona inoltre ha introdotto la
cosiddetta clausola orizzontale di non discriminazione, all’interno dell’articolo 10 TFUE.
Quest’ultima è volta a integrare la lotta contro le discriminazioni in tutte le politiche e le
azioni dell’Unione. Tale disposizione non solo rappresenta il secondo esplicito riferimento
alla disabilità nel TFUE, ma impone anche un “obbligo di mainstreaming”. Infine, come è
noto, il Trattato di Lisbona ha determinato anche un cambiamento sostanziale circa lo
status della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea: le è stato attribuito lo stesso
valore giuridico (vincolante) dei trattati, rendendola così fonte di diritto primario.
- La ratifica della Convenzione Onu sui diritti delle persone con disabilità e i suoi effetti
nell’ordinamento europeo
Il 13 dicembre 2006 l’Assemblea generale dell’Onu ha adottato la Convenzione delle Nazioni
unite sui diritti delle persone con disabilità (d’ora in avanti, semplicemente Convenzione
Onu). Tale Convenzione, fortemente ispirata al già citato modello sociale, riconduce la
condizione di disabilità all’esistenza di barriere ambientali e sociali e impone agli Stati parte
di eliminare tali ostacoli. Dignità, autonomia individuale, eguaglianza, accessibilità,
inclusione nella società e accettazione della disabilità come parte della diversità umana sono i
principi-cardine attorno a cui ruota il testo convenzionale, che rilegge i classici diritti umani
alla luce della disabilità 15 .
L’Unione europea, dopo aver partecipato attivamente alla fase di negoziazione, firma la
UNCRPD nel 2007. La ratifica viene completata quasi tre anni dopo 16 e rappresenta
un’ulteriore e definitiva svolta dell’Ue verso politiche per la disabilità ampie ed incisive.
A seguito della ratifica, la Convenzione è diventata parte integrante del diritto dell’Ue e ha
assunto rango ‘sub-costituzionale’. In forza dell’articolo 216, paragrafo 2, TFUE, infatti,
allorché l’Unione europea conclude accordi internazionali, questi ultimi vincolano le sue
istituzioni e, di conseguenza, prevalgono sugli atti dell’Unione stessa. Essi infatti assumono il
rango di fonte intermedia, superiore al diritto derivato dell’Unione, ma inferiore rispetto ai
Trattati (TUE e TFUE). Nella sentenza Z c. A Government department 17 , la Corte di giustizia
dell’Unione europea (d’ora in poi CGUE) ha però affermato che la UNCRPD, pur essendo
parte integrante del diritto dell’Unione europea, non ha efficacia diretta 18 . La Convenzione,
infatti, presenta un carattere programmatico, poiché le sue disposizioni sono subordinate
all’intervento di atti ulteriori che competono alle parti contraenti. Pertanto, esse non sono, dal
punto di vista del contenuto, incondizionate e sufficientemente precise, mancando dunque dei
requisiti richiesti per determinare effetti diretti nel diritto dell’Unione europea 19 .
La Convenzione dispiega tuttavia effetti interpretativi, visto che il diritto secondario (in
particolare, regolamenti e direttive) va interpretato in maniera conforme alle norme della
UNCRPD, come la CGUE ha affermato per la prima volta nel caso ‘Ring e Werge’ 20 . Fino ad
oggi le questioni interpretative di maggior rilievo sono sorte con riguardo alla Direttiva
2000/78/CE e, in particolare, alla nozione di disabilità che la Direttiva abbraccia. Il caso Ring
and Werge si riferisce alle cause riunite di due lavoratrici danesi (appunto, Ring e Skoubo e
Werge), entrambe licenziate a seguito delle numerose assenze dal lavoro per malattia. Le
ricorrenti, sulla base dell’asserita disabilità, sostenevano invece che il datore di lavoro avesse
l’obbligo di offrire loro un orario di lavoro ridotto a titolo di accomodamento ragionevole, in
applicazione dell’articolo 5 della Direttiva 2000/78/CE. In entrambi i procedimenti, i
resistenti si difendevano negando che le condizioni di salute delle due donne rientrassero
nella definizione di disabilità prevista dalla Direttiva. Il giudice a quo interrompeva i
procedimenti e faceva rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia, chiedendo se e a quali
condizioni una malattia potesse rientrare nella nozione di disabilità. La CGUE ha quindi
affermato che la definizione di disabilità da utilizzare nell’interpretazione dell’ambito di
applicazione della Direttiva sulla parità di trattamento deve essere conforme al testo della
Convenzione Onu. Dopo il caso Ring e Werge, come già discusso in altra sede 21 , la CGUE ha
avuto modo di pronunciarsi nuovamente sulla questione in diverse altre occasioni, nelle quali,
non senza oscillazioni, è rimasta sostanzialmente fedele alla posizione adottata. Senza pretesa
di completezza 22 si cita qui la sentenza Commissione c. Italia 23 . La decisione interviene a
seguito del ricorso per inadempimento presentato dalla Commissione nei confronti dell’Italia
per incompleta trasposizione dell’articolo 5 delle Direttiva 2000/78. La Corte sostanzialmente
ritiene le cesure della Commissione fondate e, nell’esame della questione, ribadisce che il
concetto di ‘disabilità’, pur non essendo definito nella Direttiva 2000/78/CE, deve essere
interpretato alla luce della Convenzione Onu e che di conseguenza anche le legislazioni
nazionali devono approntare una definizione ad essa conforme.
- La nuova ‘disability roadmap’ dell’Unione europea: la Strategia europea sulla disabilità
2010-2020 e le proposte legislative in materia di accessibilità e non discriminazione
Quasi contemporaneamente alla ratifica della Convenzione Onu, è stata adottata dalla
Commissione la Strategia europea sulla disabilità 2010-2020 24 . Il titolo evoca esplicitamente
la precedente Strategia del 1996 e si pone in netta continuità concettuale con quest’ultima, in
quanto mira a “mettere le persone con disabilità in condizione di esercitare tutti i loro diritti e
di beneficiare di una piena partecipazione alla società e all’economia europea” 25 . Infatti,
questa nuova Strategia, come già la precedente, appare fortemente influenzata dal modello
sociale e ha quale perno concettuale e programmatico l’eliminazione delle barriere alla
partecipazione dei disabili alla vita sociale, culturale ed economica. In questo caso però la
Strategia 2010-2020 si basa esplicitamente sulla Convenzione Onu e integra i principi di
quest’ultima con gli obiettivi del più ampio piano ‘Europa 2020’ 26 , a sua volta teso a
promuovere una “crescita intelligente, sostenibile e inclusiva”.
Il principale elemento di novità sta nell’individuazione di otto specifiche aree in cui l’Unione
europea si propone di agire in maniera congiunta agli Stati membri: accessibilità,
partecipazione, uguaglianza, occupazione, istruzione e formazione, protezione sociale e
salute. L’individuazione di tali aree, definite in base all’analisi dei risultati del precedente
Piano d’azione dell’Ue a favore delle persone disabili (2003-2010) e di consultazioni tenutesi
con gli Stati membri, appare fortemente influenzato dalla Convenzione Onu. In effetti, la
Strategia fa riferimento in più punti alla Convenzione e intende contribuire ad assicurare il
monitoraggio dell’attuazione della Convenzione medesima all’interno degli Stati membri e in
seno alle istituzioni europee. Con particolare riferimento al monitoraggio, va anche
sottolineato come la Strategia attribuisca alla Commissione il compito di riorganizzare le
informazioni raccolte mediante le varie inchieste sociali dell’Ue, di elaborare un’inchiesta
specifica sulle barriere all’integrazione sociale delle persone con disabilità e di presentare una
serie di indicatori per seguire l’evoluzione della situazione rispetto agli obiettivi chiave della
‘Strategia Europa 2020’, oltre che di completare e sostenere la raccolta di dati da parte degli
Stati membri.
La Strategia individua determinati interventi, sia a livello di policy che a livello legislativo,
per ognuna delle otto aree. In particolare, tra le varie iniziative legislative, la Strategia
prevede l’adozione del cosiddetto European Accessibility Act (Atto europeo
sull’accessibilità) 27 : si tratta di uno strumento normativo in grado di incrementare
l’accessibilità di beni e servizi nel mercato interno e di porre rimedio alle attuali lacune del
mercato europeo in materia. A tal fine, l’Atto si propone di armonizzare i requisiti di
accessibilità delle legislazioni interne degli Stati membri, stimolare l’innovazione nel campo
dell’accessibilità attraverso lo sviluppo e l’utilizzo di criteri standard europei, implementare
l’effettività della legislazione esistente in materia, incentivare il mercato di beni e servizi
accessibili tramite l’aumento di appalti pubblici dedicati, favorire la disponibilità nel mercato
di merci e servizi accessibili e accrescere la concorrenza fra industrie del settore. Dopo una
lunga e tormentata gestazione, e molto più tardi di quanto previsto, la proposta di Atto
europeo sull’accessibilità (dal punto di vista formale si tratterà in realtà di una direttiva) è
stata presentata nel dicembre 2015 28 . La proposta contiene una serie di obblighi di
accessibilità per i produttori e i distributori di determinati beni e servizi. L’ambito di
applicazione dell’attuale proposta sarà però più limitato di quanto previsto inizialmente: essa
coprirà solo alcuni servizi (tra i quali sportelli bancomat e i servizi bancari, personal
computer, telefoni e apparecchi televisivi, i servizi telefonici e audiovisivi, trasporti, libri
elettronici (e-book) e i servizi di commercio elettronico). Resta da vedere se e quando questo
testo verrà approvato da Consiglio e Parlamento europeo e se emendamenti interverranno a
modificare la proposta attuale. Finalizzata a precedere e completare il contenuto dell’Atto
europeo sull’accessibilità, è la Proposta di direttiva relativa all’accessibilità dei siti web degli
enti pubblici 29 . Anche tale proposta, che si propone di armonizzare disposizioni legislative,
regolamentari e amministrative degli Stati membri relative all’accessibilità dei siti web degli
enti pubblici, è ancora al vaglio degli organi legislativi e non è chiaro se e quando verrà
approvata.
La Strategia aveva inoltre previsto l’approvazione di una nuova direttiva in materia di non-
discriminazione. In realtà la proposta risale al 2008 30 , e aveva l’obiettivo di completare il
quadro normativo, ampliando l’ambito di applicazione della normativa anti-discriminatoria
attraverso l’attuazione del principio di parità di trattamento indipendentemente dalla religione
o dalle convinzioni personali, dalla disabilità, dall’età e dall’orientamento sessuale, anche al
di fuori del mercato del lavoro (si pensi a settori quali la protezione sociale – comprese la
sicurezza sociale e l’assistenza sanitaria, le prestazioni sociali – l’istruzione, l’accesso a beni
e servizi e la loro fornitura, alloggi inclusi). Senza entrare nel dettaglio, ai fini di questa breve
trattazione è opportuno mettere in rilievo come la proposta mostri un approccio più
ambizioso rispetto ai testi vigenti per quanto riguarda il divieto di discriminazione fondata
sulla disabilità e come essa tragga diretta ispirazione dal testo della Convenzione Onu.
Tuttavia, a oggi, la proposta di direttiva è ancora oggetto di discussione in sede di Consiglio,
e non è chiaro se e quando essa verrà approvata 31 .
- Conclusioni: il 2016 quale anno di bilanci?
A vent’anni dall’adozione della prima Strategia della Comunità europea nei confronti dei
disabili, l’Unione europea sembra aver fatto notevoli passi avanti nella tutela dei diritti delle
persone con disabilità, e pare aver messo in atto una vera e propria cross-cutting policy.
L’azione Ue in materia di disabilità coinvolge ormai tutti i campi del diritto dell’Unione.
Tuttavia la ‘Strategia 2010-2020’, che sopra ho discusso, si propone obiettivi ambiziosi, in
linea con gli obblighi internazionali sottoscritti dall’Unione con la ratifica della Convenzione
Onu, e è stata in parte disattesa, tanto è vero che le principali iniziative legislative previste
(ovvero l’Atto europeo sull’accessibilità e la nuova direttiva antidiscriminazione) sono ancora
lontane dall’essere approvate. Lo stesso Comitato Onu sui diritti delle persone con disabilità
nell’esaminare il rapporto iniziale dell’Unione europea sull’implementazione della
Convenzione si dice preoccupato che l’Unione europea non sia ad oggi riuscita a condurre
una revisione completa della sua normativa e ad armonizzarla con la Convenzione, e
raccomanda l’accelerazione della procedura di adozione della nuova direttiva
antidiscriminatoria, nonché della legislazione in materia di accessibilità.
Va anche sottolineato che, a più di cinque anni dal lancio, la Commissione ha deciso di
valutare l’impatto della Strategia 2010-2020 e delle misure attuate fino ad ora attraverso una
consultazione pubblica. La consultazione, chiusasi nel marzo 2016, ha permesso di
raccogliere opinioni e pareri sui risultati conseguiti a medio termine, ma anche su quali nuove
azioni l’Ue dovrebbe intraprendere nei prossimi anni. I risultati della consultazione non sono
ancora disponibili, ma è chiaro che il 2016 ha rappresentato un anno di bilanci per l’Unione e
un momento in cui aprire una riflessione su quali misure implementare in via prioritaria nel
secondo quinquennio della Strategia.
Note
1 Waddington L, Diller M, Tensions and coherence in disability policy: the uneasy
relationship between social welfare and civil rights models of disability in American,
European and international employment law, Disability rights law and policy, Ardsley,
Transnational Publishers, 2002, pp 241-244.
2 Priestley M, In search of European disability policy: between national and global, ALTER –
Revue européenne de recherche sur le handicap, fasc 1, 2007, pp 61-74.
3 Comunicazione della Commissione sulla parità di opportunità per i disabili, Una nuova
strategia della Comunità europea nei confronti dei disabili, Bruxelles, 30 luglio 1996,
COM(96)406 def.
4 Comunicazione della Commissione sulla parità di trattamento di opportunità per i disabili,
Una nuova strategia della Comunità europea nei confronti dei disabili, Bruxelles, 30 luglio
1996, COM(96)406 def., Sintesi e conclusioni strategiche, p 1.
5 Risoluzione dell’Assemblea generale delle Nazioni unite, n. 48/96 del 20 dicembre 1993.
6 Sul modello sociale si veda ex multis Barnes C, Capire ‘il modello sociale della disabilità’
(trad. it. di AD Marra), in Intersticios. Revista Sociológica de Pensamiento Crítico, vol 2, 1,
2008 al sito http://www.intersticios.es/article/viewFile/2382/1893.
7 Direttiva 1999/5/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 9 marzo 1999, riguardante
le apparecchiature radio e le apparecchiature terminali di telecomunicazione e il reciproco
riconoscimento della loro conformità, GU L 91 del 7 aprile 1999. Direttiva 2002/21/CE del
Parlamento europeo e del Consiglio, del 7 marzo 2002, che istituisce un quadro normativo
comune per le reti e i servizi di comunicazione elettronica (direttiva quadro), GU L 108 del
24 aprile 2002. Direttiva 2002/22/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 7 marzo
2002, relativa al servizio universale e ai diritti degli utenti in materia di reti e di servizi di
comunicazione elettronica (direttiva servizio universale), GU L 108 del 24 aprile 2002.
Direttiva 97/67/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 15 dicembre 1997,
concernente regole comuni per lo sviluppo del mercato interno dei servizi postali comunitari
e il miglioramento della qualità del servizio, GU L 15 del 21 gennaio 1998, modificata dalla
direttiva 2002/39/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 10 giugno 2002, che
modifica la direttiva 97/67/CE per quanto riguarda l’ulteriore apertura alla concorrenza dei
servizi postali della Comunità, GU L 176 del 5 luglio 2002 e modificata dalla direttiva
2008/6/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 20 febbraio 2008, che modifica la
direttiva 97/67/CE per quanto riguarda il pieno completamento del mercato interno dei servizi
postali comunitari, GU L 52 del 27 febbraio 2008.
8 Direttiva 2001/85/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 20 novembre 2001,
relativa alle disposizioni speciali da applicare ai veicoli adibiti al trasporto passeggeri aventi
più di otto posti a sedere oltre al sedile del conducente e recante modifica delle direttive
70/156/CEE e 97/27/CE, GU L 42 del 13 febbraio 2002. Direttiva 96/48/CE del Consiglio,
del 23 luglio 1996, relativa all’interoperabilità del sistema ferroviario transeuropeo ad alta
velocità, GU L 235 del 17 settembre 1996, modificata dalla direttiva 2004/50/CE del
Parlamento europeo e del Consiglio, GU L 164 del 30 aprile 2004. Direttiva 2001/16/CE del
Parlamento europeo e del Consiglio, del 19 marzo 2001, relativa all’interoperabilità del
sistema ferroviario transeuropeo convenzionale, GU L 110 del 20 aprile 2001, modificata
dalla direttiva 2004/50/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, GU L 164 del 30 aprile
- Direttiva 2006/87/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 dicembre 2006,
che fissa i requisiti tecnici per le navi della navigazione interna e che abroga la direttiva
82/714/CEE del Consiglio, GU L 389 del 30 dicembre 2006. Direttiva 2003/24/CE del
Parlamento europeo e del Consiglio, del 14 aprile 2003, che modifica la direttiva 98/18/CE
del Consiglio relativa alle disposizioni e norme di sicurezza per le navi da passeggeri, GU L
123 del 17 maggio 2003. Direttiva 2007/46/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 5
settembre 2007, che istituisce un quadro per l’omologazione dei veicoli a motore e dei loro
rimorchi, nonché dei sistemi, componenti ed entità tecniche destinati a tali veicoli (direttiva
quadro), GU L 263 del 9 ottobre 2007. Decisione 2008/164/CE della Commissione, del 21
dicembre 2007, relativa ad una specifica tecnica di interoperabilità concernente le persone a
mobilità ridotta nel sistema ferroviario transeuropeo convenzionale e ad alta velocità, GU L
64 del 7 marzo 2008.
9 Direttiva 95/16/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 giugno 1995, per il
ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative agli ascensori, GU L 213 del 7
settembre 1995, modificata dalla direttiva 2006/42/CE del Parlamento europeo e del
Consiglio, relativa alle macchine e che modifica la direttiva 95/16/CE, GU L 157 del 9
giugno 2006.
10 Direttiva 2004/17/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 31 marzo 2004, che
coordina le procedure di appalto degli enti erogatori di acqua e di energia, degli enti che
forniscono servizi di trasporto e servizi postali, GU L 134 del 30 aprile 2004. Direttiva
2004/18/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 31 marzo 2004, relativa al
coordinamento delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori, di forniture
e di servizi, GU L 134 del 30 aprile 2004. Direttiva 92/13/CEE del Consiglio, del 25 febbraio
1992, che coordina le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative relative
all’applicazione delle norme comunitarie in materia di procedure di appalto degli enti
erogatori di acqua e di energia e degli enti che forniscono servizi di trasporto nonché degli
enti che operano nel settore delle telecomunicazioni, GU L 76 del 23 marzo 1992, modificata
dalla direttiva 2007/66/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’11 dicembre 2007,
che modifica le direttive 89/665/CEE e 92/13/CEE del Consiglio per quanto riguarda il
miglioramento dell’efficacia delle procedure di ricorso in materia di aggiudicazione degli
appalti pubblici, GU L 335 del 20 dicembre 2007. Direttiva 89/665/CEE del Consiglio, del 21
dicembre 1989, che coordina le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative
relative all’applicazione delle procedure di ricorso in materia di aggiudicazione degli appalti
pubblici di forniture e di lavori, GU L 395 del 30 dicembre 1989, modificata dalla direttiva
2007/66/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’11 dicembre 2007, che riforma le
direttive 89/665/CEE e 92/13/CEE del Consiglio per quanto riguarda il miglioramento
dell’efficacia delle procedure di ricorso in materia d’aggiudicazione degli appalti pubblici,
GU L 335 del 20 dicembre 2007.
11 Regolamento (CE) n. 1083/2006 del Consiglio, dell’11 luglio 2006, recante disposizioni
generali sul Fondo europeo di sviluppo regionale, sul Fondo sociale europeo e sul Fondo di
coesione e che abroga il regolamento (CE) n 1260/1999, GU L 210 del 31 luglio 2006.
12 Decisione del Consiglio, del 3 dicembre 2001, relativa all’anno europeo dei disabili 2003.
13 Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato
economico e sociale europeo e al Comitato delle Regioni – Pari opportunità per le persone
con disabilità: un piano d’azione europeo, 30 ottobre 2003, COM(2003) 650 final.
14 Per un’analisi delle politiche europee si veda Waldschmidt A, Disability policy of the
European union: the supranational level, ALTER – Revue européenne de recherche sur le
handicap, fasc 3, 2009, pp 8-23.
15 Risoluzione dell’Assemblea generale delle Nazioni unite n. 61/106 del 13 dicembre 2006.
Sulla Convenzione vedi tra i molti Seatzu F, La Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti
delle persone disabili: i principi fondamentali, 2008, 3 Diritti umani e diritto internazionale,
pp 534-559; Marchisio S, Della Fina V, Cera R, La Convenzione delle Nazioni unite sui
diritti delle persone con disabilità: commentario, Aracne, 2010, XIII.
16 La ratifica è avvenuta con la Decisione del Consiglio 2010/48/EC del 26 novembre 2009,
ma il deposito della ratifica presso le Nazioni unite è avvenuto solo il 23 dicembre 2010.
17 Sentenza del 18 marzo 2014, C-363/12, Z, non ancora pubblicata in Racc.
18 Ibidem, paragrafi 88-90.
19 La nozione di efficacia diretta è stata introdotta dalla Corte di Giustizia dell’Unione europea
con la sentenza del 5 febbraio 1963 C-26/62, Van Gend en Loos, in Racc, p 3.
20 Sentenza dell’11 aprile 2013, cause riunite C-335/11 e C-337/11, Ring e Skouboe Werge, in
Racc digitale, aprile 2013.
21 Sia consentito rinviare a Ferri D e Favalli S, Defining disability in the EU non-
discrimination legislation: judicial activism and legislative restraints, European Public Law,
2016, in corso di stampa.
22 Si rimanda a Venchiarutti A, Sistemi multilivello delle fonti e divieto di discriminazione per
disabilità in ambito europeo, La nuova giurisprudenza civile commentata, vol 9, 2014, pp
409-419. Ferri D, Favalli S (2016), Tracing the boundaries between disability and sickness in
the European union: squaring the circle?, European Journal of Health Law, 23 (1): 5-35.
23 Sentenza del 4 luglio 2013, Commissione c. Italia, C-312/11, in Racc digitale, luglio 2013.
A commento si vedano ex pluribus: Cinelli M, Insufficiente per la Corte di Giustizia la tutela
che l’Italia assicura al lavoratori disabili: una condanna realmente meritata?, Rivista Italiana
di Diritto del Lavoro, vol 4, 2013, pp 935-938; Milizia G, L’UE condanna l’Italia per la
disparità di trattamento dei disabili sul lavoro, Diritto & Giustizia, 2013, pp 1001-1003;
Danisi C, Disabilità, lavoro e ‘soluzioni ragionevoli’: l’inadempimento dell’Italia alla Corte
di Giustizia, Quaderni Costituzionali, vol 4, 2014, pp 1005-1008; Marasca M, La Corte di
Giustizia boccia l’Italia: verso i disabili un ‘irragionevole’ trattamento sul luogo di lavoro,
Rivista del Diritto e della Sicurezza Sociale, vol 3, 2013, pp 629-638.
24 Sulla strategia si veda Hosking D, Staying the course: the European disability strategy 2010-
2020, Waddington L, Quinn G, Flynn E (a cura di), European Yearbook of Disability Law, 4
(2013).
25 Comunicazione della Commissione del 15 novembre 2010, Strategia europea sulla disabilità
2010-2020: un rinnovato impegno per un’Europa senza barriere, SEC(2010) 1324 fin.
26 Comunicazione della Commissione, del 3 marzo 2010, ‘Europa 2020: una strategia per una
crescita intelligente, sostenibile e inclusiva’, COM(2010) 2020 def.
27 Ahtonen A, Pardo R, The Accessibility Act – Using the single market to promote
fundamental rights, European Policy Center, 12 marzo 2013, disponibile online a questo
indirizzo: http://www.epc.eu/pub_details.php?pub_id=3393.
28 COM(2015) 615 final: Vedi anche http://europa.eu/rapid/press-release_IP-15-6147_en.htm
29 Proposta di Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa all’accessibilità dei siti
web degli enti pubblici COM/2012/0721 final – 2012/0340 (COD).
30 Proposta di direttiva del Consiglio, del 2 luglio 2008, recante applicazione del principio di
parità di trattamento fra le persone indipendentemente dalla religione o le convinzioni
personali, la disabilità, l’età o l’orientamento sessuale, COM (2008) 426 definitivo.
31 Sulla proposta si veda Waddington L, Future prospects for EU equality law: lessons to be
learnt from the proposed equal treatment directive, European Law Review, vol 36, fasc 2,
2011, pp 163-184.
Nella società italiana è stato avviato, fin dal 1982, un graduale inserimento delle persone con
disabilità, prima nella scuola poi nel mondo del lavoro: ogni passaggio ha creato una nuova e
proficua interazione sociale. Nel frattempo, le modificate condizioni di sviluppo economico
hanno rallentato questa crescita e hanno portato fenomeni di competizione interna: è di per sé
evidente che la difficoltà attuale della creazione del posto di lavoro per i giovani (o per gli
over 45) sia un percorso ancor più irto di ostacoli per le persone con disabilità
La Dichiarazione di Madrid 2003 afferma nell’art. 7 che il lavoro è la “chiave per
l’inserimento sociale” delle persone con disabilità come una delle forme più importanti nella
lotta contro l’esclusione sociale al fine di garantire loro “indipendenza e dignità”.
A questo scopo è richiesto un impegno particolare per rafforzare le strutture e le misure già
esistenti da parte di tutti gli operatori.
La legge 12 marzo 1999, n. 68 “Norme per il diritto al lavoro dei disabili” (pubblicata nella
G. U. n. 68 del 23.3.1999 – Suppl. Ord. n. 57) ha profondamente riformato i principi e le
modalità di collocamento obbligatorio con l’integrazione della persona con disabilità
attraverso l’art. 2: il “collocamento mirato”, lasciando che ciascun territorio definisca l’assetto
organizzativo dei servizi per l’inserimento mirato per meglio rispondere alle proprie esigenze
con le proprie risorse.
Il sistema per l’inserimento lavorativo mirato della legge 68 è rivolto alle persone in età
lavorativa con disabilità fisiche, psichiche, sensoriali, intellettive e relazionali purché abbiano
un’invalidità civile superiore al 45% o un’invalidità del lavoro superiore al 33%.
Quando le capacità lavorative della persona con disabilità corrispondono a quelle richieste in
un dato posto di lavoro il datore di lavoro ha trovato un buon lavoratore: lo spartiacque non è
più tra lavoratore normodotato e lavoratore con disabilità, ma tra il lavoratore che, data una
certa mansione, è in grado di svolgerla adeguatamente e quello che non è capace di
assumersene la responsabilità. Ogni persona con disabilità deve essere orientata affinché
possa avere un progetto di vita, consapevolezza delle proprie capacità, limitazioni,
potenzialità e attitudini; conoscere il mercato del lavoro, definire i propri obiettivi
esistenziali, sociali e lavorativi. Deve poter accedere ad una formazione per possedere molte
conoscenze e competenze intellettuali, tecniche e umane, acquisite in percorsi formativi e
opportunamente certificate. Possa maturare un’adeguata esperienza e conoscenza del mondo
del lavoro attraverso stage, tirocini, contratti di formazione in situazione. Si senta motivata ed
avere chiarezza sui valori del lavoro: contribuire allo sviluppo della collettività, auto-
realizzarsi e provvedere al proprio sostentamento e a quello di quanti dipendono da noi. Sia
possibile per ogni persona disabile poter assumere il ruolo di lavoratore ed i conseguenti
impegni, senza sconti. Inoltre è da sottolineare con forza, sotto un profilo puramente
economico per la società, che il passaggio da persona con disabilità che percepisce un
assegno di assistenza ed un lavoratore con disabilità che percepisce uno stipendio, paga le
tasse e non usufruisce più di nessun assegno di assistenza crea la figura del contribuente
determinando così un notevole risparmio per la società. L’incontro tra la persona disabile e il
lavoro continua ad essere, nonostante la riforma, un processo seminato di complessità:
riguardo alla persona, al contesto sociale che la circonda e alla normativa.
La reale funzione del Servizio competente è quella di supportare i progetti di inserimento
lavorativo per tutti i disabili disponibili al lavoro ma soprattutto per quei soggetti che, a causa
di una bassa professionalità e di scarse competenze, sono meno spendibili nel mondo del
lavoro.
Nel rapporto azienda-disabile-servizi il Pubblico è chiamato a svolgere un ruolo di vera e
propria cabina di regia dove gli è richiesto di individuare quale disabile possieda le
caratteristiche sia fisico-funzionali che cognitivo-emotive per svolgere una determinata
mansione e l’azienda, anziché chiedere che il lavoratore sappia svolgere una mansione o che
abbia professionalità elevate con esperienze pluriennali, ha bisogno di sapere se possiede le
potenzialità per farlo, accettando anche di formarlo con percorsi adeguati.
La legge indica nel “collocamento mirato” lo strumento cardine della legge 68/99, art. 2e
“…si intende quella serie di strumenti tecnici e di supporto che permettono di valutare
adeguatamente le persone con disabilità nelle loro capacità lavorative e di inserirle nel posto
adatto, attraverso analisi di posti di lavoro, forme di sostegno, azioni positive e soluzioni dei
problemi connessi con gli ambienti, gli strumenti e le relazioni interpersonali sui luoghi
quotidiani di lavoro e di relazione.” (art.2)
Mi domando perché, in occasione del Seminario di presentazione del documento elaborato
dal laboratorio milanese del progetto “Rete in movimento” dedicato al tema dell’inclusione
lavorativa delle persone con disabilità di venerdì 14 novembre 2008, si debba arretrare di 10
anni e più abbandonando il collocamento mirato, dicendo che d’ora in poi andrà fatto il
collocamento obbligatorio per approssimazione?
L’articolo 2 della legge speciale 68/99 afferma che il processo di inserimento lavorativo non
può essere affidato ad un unico servizio che, per quanto efficiente, lavori in isolamento: il
successo della legge 68 è, dunque, legato alla capacità dei servizi per l’impiego e di quelli
sanitari, sociali e formativi di interagire efficacemente tra loro. Solo questa attività
interistituzionale permette di attuare l’insieme delle procedure che, ancorché basate
sull’imposizione di un obbligo, sono il risultato di una maturazione culturale e sociale della
comunità. Tutto questo va nell’ottica del decentramento territoriale attraverso la costituzione
delle AFOL, ma siamo proprio così sicuri che basti creare gli sportelli di sensibilizzazione
per le aziende e le cooperative e che tutto vada via liscio? La moltiplicazione dei referenti
non esperti nè qualificati sta già portando al delirio in termine di normativa poco studiata con
indicazioni approssimative e/o sbagliate date ai vari clienti. E questo è solo l’inizio:
aspettiamoci, quando avremo 7 agenzie con differenti statuti, l’anarchia dell’applicazione
della legge 68/99. Già ci pensa il Ministero, con circolari note solo ai diretti interessati, a
stabilire una serie di parzialità che vanno contro il diritto al lavoro dei disabili (cfr: prospetto
allegato 1)
Il Servizio Occupazione Disabili da tempo rivendica a più livelli l’abrogazione di tali norme
che impediscono il possibile rientro di almeno 8.500 inserimenti mancati, escludendo gli
esoneri concessi, anche se forse sarebbe più opportuno, invece di fare la battaglia sull’IRPEF
a carico dei disabili per la concessione regionale delle doti, limitare le autorizzazioni degli
esoneri penalizzando i versamenti sul Fondo Regionale (con l’aumento del 137% del
contributo esonerativo arriveremmo a creare un Fondo pari a 60 milioni di €/annui) in attesa
di ripristinare quanto afferma la legge 68/99 all’art.14, comma 4 lettera a): “Il Fondo eroga
contributi agli enti indicati nella presente legge, che svolgano attività rivolta al sostegno e
all’integrazione lavorativa dei disabili”
E in questo ginepraio di orpelli noi avanziamo con il decentramento senza una cabina di regia
centrale, non governata da chi fino ad oggi ha svolto la funzione legislativa per l’applicazione
della legge in qualità di servizio competente ?
Forse va ripensato un decentramento, incentrato su una contaminazione seria delle Agenzie,
seminando cultura sociale, procedure applicate e quanto a livello centrale è stato applicato e
sperimentato in 10 anni dalla riforma della legge 482/68 da un servizio, riconosciuto come
eccellente in tutt’Italia (dal Ministero alle Regioni, alle singole Province nonché dalle parti
sociali, dalle coop. sociali, ecc.)
Tutto questo attraverso:
- Introduzione e potenziamento dell’inserimento lavorativo tenendo conto le diversità di
servizi presenti e di territorialità; - sviluppo della rete: dal territorio al centro e viceversa;
- maturazione dell’identità delle AFOL come spin off del Servizio Occupazione Disabili;
- Creazione dell’omogeneità tra loro dei singoli interventi delle AFOL in continuità con il
centro che governa.
Precedentemente la materia era normata dalla legge 482 del 1968, che, a fronte degli alti
obiettivi numerici proposti, si era dimostrata per molti aspetti inefficace ed era rimasta, nei
risultati, inapplicata: l’unico elemento più significativo di continuità tra la 68/99 e la
normativa precedente è che il diritto al lavoro delle persone disabili continua ad essere
tutelato attraverso l’obbligo, per i datori di lavoro, di garantire a questa categoria di cittadini
l’accesso ad una quota di assunzioni, proporzionale alle dimensioni del proprio personale
dipendente. Al di là di questo aspetto di fondo, la nuova normativa segna un importante
scarto rispetto alla 482/68, soprattutto in ciò che riguarda le metodologie di avviamento al
lavoro delle persone disabili: essa, infatti, si basa sull’assunzione di diversi strumenti propri
delle politiche attive del lavoro.
La legge 68/99 si pone il duplice obiettivo di rispondere all’esigenza di lavoro della
popolazione disabile senza che ciò divenga, per le aziende e gli enti pubblici vincolati, un
mero costo, bensì un inserimento proficuo di soggetti produttivi.
Compito del collocamento mirato quindi non è solo di individuare un corretto incontro tra le
caratteristiche della persona e quelle della mansione, ma, ove ciò non sia immediatamente
possibile, di porre in campo una serie di risorse e di servizi atti a permettere sia alla persona
di adeguare le proprie competenze, sia all’azienda di intervenire su aspetti strutturali e di
organizzazione del lavoro per rendere accessibile la mansione designata.
Ciò non è una novità assoluta della legge 68/99 non solo perché si pone nel solco della più
generale riforma del collocamento ordinario, ma anche perché recepisce i contenuti della
Legge-quadro per l’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate
n.104 del 5 febbraio 1992: “[..]ai fini dell’avviamento al lavoro, la valutazione della persona
handicappata tiene conto della capacità lavorativa e relazionale dell’individuo e non solo della
minorazione fisica o psichica. [..]”.
Alla luce di tale quadro normativo, il ruolo dei servizi per l’impiego e degli “uffici
competenti” assume una valenza diversa rispetto al passato, passando da una logica basata
sull’adempimento di obblighi formali-burocratici riconducibili essenzialmente al controllo,
alla promozione di politiche attive volte all’ottenimento di risultati, soprattutto qualitativi, nel
campo dell’inserimento lavorativo delle persone disabili. L’avviamento al lavoro viene
realizzato attraverso un giusto incontro tra le caratteristiche di una persona disabile e quelle di
una mansione in cui si possa effettivamente impiegare, rispondendo in questo modo alle
esigenze di entrambi i soggetti coinvolti (i disoccupati disabili ed i datori di lavoro) e
ampliando le possibilità di successo e durata temporale.
E’ evidente che solo inserimenti in lavori “veri”, nel rispetto delle possibilità e non nella
ricerca di persone abili/disabili per mansioni irraggiungibili, delle capacità e dei limiti del
soggetto possono rispondere a tali esigenze.
Un altro ruolo essenziale per tutelare disabili e aziende viene dato al Comitato Tecnico
Provinciale: esso è composto da funzionari provinciali, esperti del settore sociale e della
formazione professionale, medici esperti nel settore legale e del lavoro. I compiti e le
funzioni del Comitato Tecnico Provinciale sono declinati dagli art. 6, 10, 12 della legge 68/99
e dagli art 7 e 8 del DPCM 13/01/2000 e attengono principalmente agli accertamenti di
carattere sanitario per le persone disabili con particolare attenzione al contesto lavorativo in
cui il soggetto è inserito. Importante funzione in questo senso è quella dell’accertamento della
compatibilità della mansione che può essere richiesta sia dal lavoratore disabile che dal
datore di lavoro. Il Comitato Tecnico Provinciale di Milano, seguendo la sollecitazione della
Commissione europea (regolamento del 12.12.02 n. 2204/2002) ed in supporto ai piani
provinciali di recente attuazione, ha provveduto a dare una definizione di disabili “deboli” per
i quali può rendersi necessario un aiuto permanente che ne consenta non solo l’assunzione,
ma anche la permanenza sul mercato del lavoro. Al fine di favorire coloro che si trovano in
situazioni di maggiore difficoltà vengono per tanto considerati come ‘deboli’ le seguenti
categorie di persone:
a) persone in età lavorativa affette da menomazioni psichiche e/o portatori di handicap
intellettivo con qualunque % di riduzione delle capacità lavorative (cfr. tabelle – allegato 2)
b) persone in età lavorativa affette da menomazioni fisiche e sensoriali che comportino una
riduzione delle capacità lavorative pari o superiore al 74%, compresi i non vedenti, colpiti da
cecità assoluta o con un residuo visivo non superiore a 1/20 a entrambi gli occhi anche con
eventuale correzione e i sordomuti.
Inoltre, se gli appartenenti alle succitate categorie a e b, si trovassero ad avere una, o più di
una, delle seguenti condizioni “aggiuntive” ciò costituirà un criterio di precedenza
all’avviamento lavorativo: età superiore a 50 anni, necessità di inserimento con il supporto di
un Servizio di mediazione come da dichiarazione delle Commissioni per l’accertamento delle
Invalidità Civile nelle “relazioni conclusive” L.68/99 (a causa di difficoltà in particolar modo
di tipo relazionale), soggetti con alle spalle almeno due tentativi di inserimento falliti, oppure
da sempre senza lavoro, con bassa scolarità, con il riconoscimento dello stato di handicap in
situazioni di gravità ai sensi dell’art. 3 comma 3 della legge 104/92.
C’è poi una fascia ulteriore di popolazione disabile che incontra serie difficoltà ad inserirsi
nel mondo del lavoro per caratteristiche sociali e anagrafiche penalizzanti.
Tra questi vi sono coloro che a causa di un incidente invalidante non possono più esercitare
l’unica professionalità che avevano maturato.
Naturalmente anche le persone disabili detenute rientrano in un settore che incontra estrema
difficoltà ad impiegarsi all’uscita dal carcere, ancor di più se all’handicap sociale della
detenzione si somma quello della disabilità.
Rientrano in queste categorie anche le persone ultraquarantenni senza scolarità né
professionalità.
Per promuovere l’assunzione di queste persone la legge già definisce una serie di incentivi
economici, che i Servizi devono potenziare attraverso la definizione in convenzione di bonus
che possano permettere al datore di lavoro di dilazionare ulteriormente il proprio periodo di
messa in regola rispetto agli obblighi di copertura.
Questa attenzione alle aree a maggior rischio di emarginazione sociale segnala la
consapevolezza di un pericolo insito nella struttura stessa della legge.
La legge 68/99, liberalizzando in parte l’assunzione dei lavoratori disabili, permette di
individuare un miglior incontro domanda-offerta di lavoro, ma d’altra parte, proprio per
questo, rischia di non riuscire a coinvolgere in questo processo le persone meno adatte
all’inserimento lavorativo, le stesse che già oggi vivono in una condizione di maggior
esclusione sociale. Infatti, il forte aumento delle possibilità di assunzione nominativa per tutte
le mansioni, a prescindere dal loro livello di professionalità, se da una parte lascia maggior
spazio all’incontro spontaneo dei soggetti, dall’altra vincola buona parte dei disabili a
sottoporsi ad un processo di selezione preliminare all’assunzione.
Di seguito fotografo uno spaccato dei movimenti degli avviamenti e delle relative cessazioni
dei disabili psichici come serie storica nel periodo 2004-2006: (cfr tabelle allegato 3) da cui
si evince quanto la funzione del collocamento mirato, mediato dai servizi, sia importante per
garantire il mantenimento del rapporto di lavoro (cfr grafico allegato 4)